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"Sono paura" è un libro per molti aspetti e in molti sensi ambizioso, ma io credo per lei fondamentale, massimamente necessario e ineludibile, proprio nei termini in cui le si è presentato e ha dovuto scriverlo. Mi piace molto, in questa ambita, affabulante e fagocitante totalità che l'ha guidata, l'alternanza poesia e prosa. Questa aspirazione impostasi a dirsi tutto a tutti e fino in fondo mi fa pensare a Campana e al suo desiderio del libro unico, magari anche, per il coraggio necessario a fare questo, alla Merini di "L'altra verità" che narra in cifra diaristica della sua perseguitata diversità, altrettanto fiduciosa però nella poesia, in nuove parole e in nuove relazioni instaurabili con il mondo. Mi piacciono i suoi "intrichi" e le sue piste sonore accondiscese, liberamente obbedite in cerca di sincerità per via di linguaggio: sino al confronto filosofico con Dio che le detta a fine libro accenti ascetici quasi caproniani: economia al quadrato dopo eccessi, dispendi e dilapidazioni; distillazione, o residuale praticabilità del discorso, avvicinamento al silenzio (ma di che segno?). La poesia, del resto, è per sua natura ambigua, no? Prima che una sua connotazione costitutiva.